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Presentazione di «La nozione metafisica di partecipazione» nel 10° anniversario della morte di Cornelio Fabro

Decimo anniversario della morte di Cornelio Fabro

A dieci anni dalla morte di P. Cornelio Fabro (1911-1995), lo scorso 4 maggio è stata rievocata la figura dell'insigne filosofo in un'intensa giornata commemorativa realizzatasi nell'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana.

Un convengo filosofico ha riunito illustri studiosi di Fabro ed ha messo in evidenza l'attualità del suo pensiero, l'acume delle sue intuizioni filosofiche come autentico interprete di San Tommaso d'Aquino e, in modo particolare, il vigore e la vigenza dei suoi studi sull'ateismo contemporaneo.

Nella cornice del convegno è stato presentato il primo volume delle Opere Complete di Fabro.

La giornata commemorativa

Su richiesta di Mons. Guido Mazzotta, decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, il Progetto Culturale Cornelio Fabro ha organizzato nella suddetta sede un convegno filosofico che contò anche con l'adesione e la collaborazione, come enti organizzatori, della Pontificia Università Lateranense, della Pontificia Università della Santa Croce, la Società Internazionale "San Tommaso d'Aquino" (S.I.T.A.) e dei Padri Stimmatini.

La sede scelta per il convegno non poteva essere più opportuna. In effetti, fu nella Pontificia Università Urbaniana che Fabro svolse la sua docenza universitaria come titolare della cattedra di biologia (1938), psicologia razionale (1939) e professore straordinario di metafisica (1939). Nella stessa università, nel 1941 fu nominato come professore titolare della cattedra di metafisica, giungendo ad essere, nel 1949, decano dell'Ateneo. Quivi lasciò un'impronta profonda come fondatore del primo istituto europeo di Storia dell'Ateismo, un'opera di capitale importanza nella storia della Chiesa del XX secolo.

Numerosa fu la partecipazione al convegno, infatti più di 300 furono le persone che presero posto nell'Aula Magna dell'Università. Tra i presenti c'era un nutrito gruppo di discepoli, eminenti professori, vari ex alunni, numerosi studenti di filosofia e varie persone vincolate alla persona di P. Fabro.

Il convegno si svolse in tre sezioni. La prima, con il titolo "La nozione metafisica di partecipazione", contò con le relazioni di Mons. Marcelo Sánchez Sorondo, della Pontificia Accademia delle Scienze, e di Mons. Luis Romera, Decano di Filosofia della Pontificia Università della Santa Croce.

La seconda sezione, intitolata "Sulla partecipazione all'esistenza di Dio", fu presieduta da Mons. Andrea Maria Erba, vescovo di Velletri-Segni, diocesi nella quale ha la sua residenza il Progetto Culturale Cornelio Fabro. Impossibilitato a partecipare per ragioni di salute inviò la sua conferenza Mons. Antonio Livi, Decano di Filosofia della Pontificia Università Lateranense. La seconda relazione fu diretta da Mons. Paolo Miccoli, quest'ultima provocò una discussione sul controverso tema dell'ateismo, uno degli argomenti centrali del pensiero di Fabro che ha denunciato l'essenza atea del principio d'immanenza.

I professori Danilo Castellano dell'Università di Udine e Andrea Dalledonne ratificarono la validità e l'attualità del punto di vista di Fabro, che trova un'ulteriore conferma nel recente libro del compianto Papa Giovanni Paolo II, "Memoria e identità".

Nelle prime ore del pomeriggio si svolse la terza sezione del convegno, titolata "Cornelio Fabro nelle sue opere" e presieduta da P. Giampietro de Paoli, sacerdote della Congregazione dei Padri Stimmatini. La prima esposizione fu a carico di Suor Rosa Goglia, consulente del Progetto Culturale Cornelio Fabro e per molti anni segretaria di Fabro; a continuazione Ariberto Acerbi, del Fondo Cornelio Fabro della Pontificia Università della Santa Croce, fece una presentazione del programma dei lavori per la catalogazione della Biblioteca Personale di Fabro.

La relazione conclusiva fu competenza del P. Christian Ferraro, coordinatore dell'edizione delle opere complete di Fabro, che rimarcò l'attualità del pensiero fabriano.

La giornata commemorativa culminò con una solenne celebrazione eucaristica nel Collegio Urbaniano, presieduta dal Superiore Generale dei Padri Stimmatini, p. Andrea Meschi, e concelebrata da quasi 50 sacerdoti. Nell'omelia P. Meschi, commentando i testi biblici scelti, paragonò l'impegno culturale ed evangelizzatore di Padre Fabro all'opera evangelizzatrice dell'Apostolo San Paolo nell'areopago.

 

OMELIA di P. Meschi su P. Fabro nel 10º Anniversario della Morte

(Università Urbaniana – Roma 4 Maggio 2005)

Alla fine di una giornata di riflessione a così alto livello, sono estremamente felice che il nostro incontro si concentri e finisca qui, attorno all'altare di Dio per un momento ed un gesto di fede.

La grandezza del pensiero filosofico e culturale di una persona prende ancora maggiore consistenza nelle radici della fede sulle quali si fonda.

Un esempio per tutti. Il gran San Tommaso trovava nella preghiera e nell'adorazione dell'Eucaristia il sostegno e la forza alla sua riflessione teologica e alla sua vita. Per questo è sì un gran dottore nella Chiesa, ma è innanzitutto un gran santo, un vero discepolo di Cristo.

E Padre Cornelio, per chi lo ha conosciuto è realtà evidente, era filosofo, teologo, ma anche un religioso, un sacerdote, cristiano.

Il mistero della morte e della risurrezione di Cristo avvolge ogni vita umana, quella di ciascuno di noi e del nostro confratello P. Cornelio, dà sostegno e speranza al vivere, al morire e al risorgere d'ogni cristiano.

Due riflessioni allora sulla parola di Dio che la liturgia ci offre oggi in quest'eucaristia.

 

Prima lettura: Il discorso di Paolo all'Aeropogao di Atene. (Cfr. At. 17,22-18,1)

Una pagina emblematica, che tutti conosciamo, letta alle volte anche con angolature differenti e non univoche.

Appare chiaro che se Luca aveva scelto la sinagoga di Antiochia di Pisidia per presentare un esempio tipico di un discorso d'evangelizzazione rivolto ai giudei.

Ora fa dell'areopago di Atene la cornice di una predicazione originale di Paolo, indirizzata agli intellettuali del mondo pagano. La scelta non è casuale: Atene si trova a metà strada fra Gerusalemme e Roma, e anche se ha perso la sua potenza politica è a quel tempo la brillante capitale della cultura del mondo greco-romano.

Luca ci mostra dunque Paolo che fa riferimento alla cultura dei suoi ascoltatori (templi, idoli, pietà e devozioni, scuole filosofiche e pensiero umano, poeti e pensatori), convinto che tale cultura può dare loro una certa pre-comprensione del messaggio evangelico, svolgendo un ruolo analogo a quello delle Scritture per i giudei.

L'Autore del libro degli Atti ha curato la stesura di questo discorso con la convinzione che Paolo aveva saputo trovare il linguaggio adatto alla nuova situazione.

È possibile annunciare il Vangelo al mondo pagano agganciandosi direttamente alla cultura filosofico-­religiosa che gli è propria, senza passare prima attraverso l'Antico Testamento e la storia d'Israele.

Certo il discorso di Atene è un discorso che s'interrompe là dove la presentazione positiva della rivelazione diventa più evidente: La risurrezione. Il cammino della riflessione umana arriva alle soglie, al limitare della comprensione totale dell'uomo.

Ma nella conclusione dell'episodio non c'è nulla che ci autorizzi a ritenere che l'autore abbia voluto presentare qualcosa che non deve essere fatto perché non utile e non giusto.

Un fallimento che Paolo avrebbe dovuto incassare nella grande Atene.

Chi sostiene questa tesi si ricollega al testo della lettera ai Corinti (I Cor. 2,4-5) "…la mia parola ed il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulle manifestazioni dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio".

È sbagliata allora tutta la ricerca che l'uomo fa di Dio nel cammino della sua storia e del suo pensiero, ricerca inutile.

Il discorso di Atene non è un fallimento metodologico ma un discorso interrotto, che s'inceppa, che diventa difficile, incomprensibile là dove la rivelazione diventa più esplicita. C'è bisogno e necessità di una qualche cosa che venga dal "di fuori", che venga "rivelato".

 

E allora vorrei innestare qui la seconda riflessione ritrovandola nella pagina del Vangelo di Giovanni, che la liturgia ci propone (Gv. 16,12-15).

"Quando poi verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera". (Gv. 16,13)

Cos'è questa "verità tutta intera"?

La Rivelazione di Gesù con la sua vita non è forse completa, o ha bisogno di ulteriori aggiunte?

Questa "verità tutta intera" non deve essere intesa quantitativamente, cioè nel senso di un certo numero di verità che Gesù non sarebbe "riuscito" ad insegnare o trasmettere ai suoi discepoli, tanto da aver bisogno di un "supplemento" (chiamiamolo così).

La verità "tutta intera", compito dello Spirito, la dobbiamo intendere qualitativamente.

Il tempo del dopo Cristo (passata l'esperienza storica di Gesù di Nazareth) è il tempo dello Spirito che illumina, guida, rende reale, storica, incarnata la salvezza: la storia di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio.

La verità tutta intera è quindi la ricerca dell'uomo di Dio, completata dall'annuncio di Cristo e incarnata e storicizzata dalla presenza dello Spirito lungo lo svolgersi del tempo.

La Verità di Dio, infatti, non è una verità cristallizzata ma dinamica e "vivente" perché per l'uomo è gravida di tutte le sue implicanze dell'esistenza. Legge, guarda e parla attraverso la vita e le vicende storiche della Chiesa.

Ecco perché lo Spirito, finché esisterà la storia umana sarà Colui che la incarnerà come luogo di salvezza per l'umanità.

Queste riflessioni le voglio collegare alla vita di P. Cornelio. Mi sia lecito fare questo per Lui, ma può essere realtà vivente d'ogni discepolo di Cristo. Mi sia lecito usare le espressioni della liturgia.

Da una Parte

Vedo in Lui il Paolo dell'Areopago di Atene. L'uomo che parte dalla riflessione sull'uomo, dalla ricerca sulla ricchezza dell'uomo sul suo essere e la sua esistenza: L'uomo dello studio, della cultura.

Come ricordava P. De Paoli, mio confratello, in uno dei discorsi funebri tenuti nel giorno delle sue esequie: "…Fu apostolo e missionario nella cultura ed attraverso la cultura, che abbracciò con passione e dedizione straordinaria come servizio all'uomo ed alla Chiesa. Lo studio fu la sua vocazione, la cattedra universitaria il suo pulpito. La penna agile ed incisiva lo strumento di Evangelizzazione, come annuncio e servizio della Verità da accogliere e da fare".

Quanta passione per questa ricerca!

E vedo in questo (lo ricordavo nella mia commemorazione proprio un anno fa nella Chiesa di Santa Croce al Flaminio all'inizio di questo anno decennale celebrativo) un tratto tipico che P. Cornelio ha mutuato dal nostro fondatore San Gaspare Bretoni: "Dio è il Signore delle scienze (I Sam. 2,3 Vg). Senza l'aiuto delle conoscenze naturali non si può arrivare alla sublimità delle cose spirituali: e io ardisco aggiungere che tale e delicato è il lavoro dell'Opera da Lei progettata che esso non potrà essere svolto come si deve, senza il sostegno di una gran cultura nelle varie sue membra; e che il primo germe di corruzione delle grandi opere di Dio sarà l'ignoranza o ciò che equivale nel sapere molto il saper male, che è avere smarrito il buon gusto" (Epistolario Naudet lettera del 6.3.1813).

Questo San Gaspare Bertoni scriveva alla serva di Dio Leopoldina Naudet, una delle tante anime da lui dirette, nel momento in cui la sosteneva nel difficile discernimento per la nascita di un nuovo istituto femminile delle "Sorelle della Sacra Famiglia".

Due piccoli esempi della vita del nostro fondatore.

Nel costruire il convento nuovo delle Stimmate in Verona egli volle che anche architettonicamente, secondo il pensiero classico, il luogo della biblioteca fosse in particolare evidenza. Ed in questa biblioteca per tanti anni ha racimolato libri di tutti i generi, dal teologico allo scientifico, che formano oggi una sua preziosa eredità.

E voleva, per i suoi tempi una conquista unica, che i sacerdoti fossero dottissimi e che arrivassero al sacerdozio non prima dell'età di trent'anni (allora si usava prestissimo) per poter avere tutto il tempo per lo studio.

P. Cornelio, uomo dello studio, uomo della cattedra universitaria, l'uomo degli scritti, l'uomo dei circoli culturali, l'uomo dell'incontro e del colloquio personale.

Dall'altra però

Vedo anche in lui l'uomo che si lascia guidare dallo Spirito attento alla ricerca della verità "tutta intera". Verità tutta intera nella quale ha creduto e che ha guidato la sua vita di studioso, ma di religioso, sacerdote e cristiano.

La verità tutta intera che è quella che nasce dal gran connubio tra storia e riflessione dell'uomo e la rivelazione e salvezza portate da Dio.

La "rottura" del Discorso di Atene può portate alla ricerca umana il pericolo di rinchiudersi nel beffardo sorriso di un'autostima infinita di se stessa, ponendo i termini del suo agire sui confini umani del mondo e del tempo.

P. Cornelio, sa, crede che alla fine di questa strada di riflessione umana troverà la verità "tutta intera", completamento della sua ricerca di pensatore, perché ispirata e fondata sulla fede in Dio.

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