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Søren Kierkegaard. Il problema della fede

Opere Complete, vol. 28

Alla dialettica dello «Spirito universale» che media se stesso nell’assoluta identità, Kierkegaard sostituì la «dialettica della trascendenza» già annunziata in Socrate e integrata mediante l’Incarnazione di Cristo con la «dialettica della fede» [...].

L’uomo moderno ha apostatato da Dio. L’opera di pensiero di Kierkegaard è nella diagnosi di questa apostasia e nell’indicazione dei rimedi per sfuggire all’incombente fallimento o tramonto di tutta la civiltà dell’Occidente che ormai per salvarsi non può avere che un nome: Cristianesimo, ovvero – come Kierkegaard precisa – «Cristianesimo del Nuovo Testamento».

Cornelio Fabro

Avvertenze riguardanti il volume

«Søren Kierkegaard: Il problema della fede» è il terzo lavoro richiesto dall’editrice La Scuola per la collana «Il pensiero: classici della filosofia commentati», a seguito del volume «Giorgio G. F. Hegel: la dialettica» e «Feurebach-Marx-Engels: Materialismo dialettico e materialismo storico». Fabro ripropone una serie di traduzioni di testi del filosofo danese che aveva pubblicato con la Società Editrice Internazionale nel 1955 dal titolo «Antologia kierkegaardiana». L’opera che ora presentiamo non ebbe una seconda edizione.

I brani tradotti sono preceduti da un’introduzione piuttosto breve: Fabro poteva ­rimandare alla sua corposa introduzione redatta per la presentazione della sua traduzione italiana del Diario e di un altro suo volume con testi di Kierkegaard intitolato Opere.

La scelta dei testi per i primi capitoli è orientata principalmente a situare il problema della fede in rapporto con la filosofia hegeliana smascherando la pretesa immanentista di ridurre la fede a solo momento dialettico da esser superato per raggiungere la perfetta autocomprensione della Ragione. Gli altri capitoli aprono vie di chiarificazione per prospettare la vittoria della fede sull’angoscia e la disperazione. La vita della fede viene da Cristo, Uomo-Dio, cresce di fronte a Cristo, e per riferimento a Lui trova il suo compimento.

Fabro ha privilegiato i testi kierkegaardiani che mettono in evidenza la distinzione fra il «ciò» (hvad) e il «come» (hvorledes) nell’atto di fede, collocando il Singolo di fronte alla decisione o scelta assoluta dell’Assoluto. Queste riflessioni possono guidare verso un vero progresso nel dialogo fede-ragione, dialogo che nella presentazione classica si era concentrato preferentemente sul problema del contenuto della fede, insistendo nel rapporto fra la virtù cognitiva naturale e quella soprannaturale; occorre arrivare al momento più intimo di un problema che si dovrebbe prospettare e risolvere nell’atto di fede.  È questo anche il modo in cui San Tommaso d’Aquino ha impostato il suo studio sulla fede nella Somma di Teologia dove, a differenza delle altre virtù ­teologali, inizia con la considerazione dell’atto interiore della fede per passare in un ­secondo momento allo studio della fede come virtù. Anche qui si può percepire la ­vicinanza spirituale fra questi due profondi spiriti e si capiscono i motivi che spinsero Cornelio Fabro a adoperarsi per recuperare il realismo classico-cristiano che giace nell’esistenzialismo metafisico di Søren Kierkegaard come strumento prezioso per ­contrastare l’antropologismo ateo dell’immanenza ­moderna.

P. Elvio Celestino Fontana, IVE
6 gennaio 2014